Nella tradizione sanitaria l’attenzione era rivolta al singolo paziente, a cui il medico offriva tutto quanto poteva: gli interventi attuabili erano pochi, spesso rischiosi e poco efficaci.
L’eventuale insuccesso era dovuto al sopravvento della malattia, di cui il medico non era responsabile, mentre il principale dilemma etico era l’accettazione di un rischio (primum non nocere).
Oggi la situazione è radicalmente cambiata: le capacità di intervento sono aumentate, gli interventi spesso molteplici e i rischi ben conosciuti. Il risultato è tuttavia sorprendente: l’aumentato potere della medicina spesso non fa che sollecitare aspettative ancora maggiori, col risultato di generare ulteriore scontento.
Le risorse sono sempre più spesso inadeguate rispetto ai bisogni: mentre le risorse sono per loro stessa natura finite, i bisogni sono potenzialmente infiniti.
Ma sono tutti bisogni “reali”? Oppure alcuni sono sovrastimati o frutto di una percezione distorta del “bene salute”? E le risorse sono davvero inadeguate oppure soltanto mal distribuite? Quali e quante sono le disuguaglianze – più o meno visibili – nell’accesso alle cure, pur in un sistema sanitario universalistico? Inoltre, le scelte di cura sul singolo paziente talvolta sono in conflitto con il bene salute di tutti gli altri potenziali pazienti (presenti e futuri).
La scelta di un antibiotico impatta sulle resistenze batteriche e sulla sua efficacia futura. La valutazione di un algoritmo di allocazione degli organi può favorire una popolazione di pazienti a discapito di altri. La scelta di implementare una terapia a elevata tecnologia può sottrarre risorse a interventi di cure primarie.
Qual è il ruolo del singolo operatore sanitario e quale quello di chi amministra le risorse? Nell’ambito delle scelte di cura, quali sono quindi le responsabilità morali nei confronti del singolo paziente – qui ed ora – e quali quelle verso tutti gli altri potenziali pazienti, presenti e futuri?